La parità di genere non è un gioco. Lo sanno bene in molti Paesi europei, che hanno da tempo messo la parola fine al sessismo dei giocattoli, che divide nettamente i giocattoli “da maschietti” da quelli “da femminucce” (vezzeggiativi già di loro molto fastidiosi),  unendo tutti i giochi e i giocattoli in un unico, grande contenitore con una semplice etichetta: da “bambini”.

La parità di genere passa anche e soprattutto attraverso il gioco. Basta sfogliare alcuni cataloghi di negozi di giocattoli danesi, che sono il trionfo delle pari opportunità: bambine fanno sfrecciare macchinine sulle loro piste mentre bambini giocano a fare i papà (e non i “mammi” come piace dire ad alcuni) accudendo un piccolo bambolotto.
La stessa cosa succede in Svezia: qui se una tenera bambina bionda decide di volere a tutti i costi un grande castello con dragoni sputafuoco e temerari cavalieri non verrà portata da uno psicologo che andrà a scavare nell’inconscio alla ricerca dei suoi traumi infantili, ma verrà semplicemente accontentata.

E in Italia? Qui vige ancora la regola che esistono le cose da maschi e quelle da femmine e che le due cose non vanno assolutamente mischiate tra loro. Quale sia il problema ancora è da capire, forse la società teme ripercussioni e problemi di identità sessuale, turbe psichiche, manie da serial killer, varie ed eventuali. Così per tutelare si preferisce suddividere gli scaffali dei giocattoli in settori: quello con le confezioni azzurre è per i piccoli ometti, con viti, macchinette, fucili e costruzioni, e poi c’è il rosa confetto, il glitter, il patinato che è invece il regno delle bambine, con tutto l’occorrente per diventare una donna in carriera. Forno, ferro da stiro e tanti tanti pseudo bambini da imparare ad accudire in un’età in cui dovrebbero accudire te.

Etichettare un giocattolo, affidargli un destinatario di genere è diseducativo e non fa svolgere le funzioni per cui è stato creato: far apprendere divertendo, stimolando la curiosità e incoraggiando il bambino ad esprimersi come più gli piace.
I giocattoli dovrebbero essere neutri, in modo da lasciare libero il bambino di scegliere se giocare con una Barbie anzichè con una tronchese di plastica. In questo modo, invece, si induce il bambino ad apprendere un ruolo e a riconoscere una divisione stereotipata del ruolo stesso.
Questo non vuol dire che bisogna per forza strappare una bambola dalle braccia di una bambina per sostituirla con un bel fucile e viceversa, ma lasciare il bambino libero di scegliere il gioco con il quale sente l’esigenza di giocare. Incoraggiare al gioco “unisex” aiuta anche ad integrarsi con i bambini dell’altro sesso, con i quali dovranno poi confrontarsi sempre per il resto della loro vita, volente o nolente.

Se poi proprio non riuscite a regalare alla vostra bambina – perchè quello dei giochi è un problema prettamente femminile – una betoniera, sappiate che esistono delle valide alternative. Come suggerisce Giulia Siviero su IlPost, c’è Lammily, l’anti Barbie con proporzioni “normali” e addirittura l’acne; c’è la casa per bambole da costruire con circuiti elettrici e altri meccanismi (scelta dal Times come miglior gioco). E ancora: Cuntaline, delle carte per inventare storie con un’astronauta, una muratrice, un ostetrico e una famiglia composta da due papà come protagonisti. Ricordandovi sempre una cosa: i bambini si stufano facilmente dei giochi che hanno, quindi non crucciatevi troppo.

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ultimo aggiornamento: 18-12-2014